Capire è più difficile che tifare
Mi sorprende, sotto l’ombrellone, ascoltare i dibattiti sempre più accesi su qualsiasi argomento.
Un tempo, sulla spiaggia, si parlava di calciomercato e ci si accapigliava per difendere la propria squadra del cuore. Si facevano pronostici e si sciorinava il medagliere dei propri campioni. Prendendosi, più o meno bonariamente, in giro. Si sfogliavano i giornali di carta, quando ancora non c’erano i tablet, combattendo con il vento che scompigliava le pagine. E si indugiava a commentare qualche fatto di cronaca. Nulla a che vedere con le risse di oggi. Che si tratti di vaccini, del piccolo Charlie, dei migranti che giungono sulle nostre coste o del salvataggio delle banche, siamo tutti pronti a esprimere giudizi e a difendere le nostre posizioni urlando a più non posso. Anche se non siamo medici, non abbiamo competenze economiche, non conosciamo i dati dei flussi migratori, non ci siamo mai trovati a fare i conti praticamente con i problemi di cui ci diciamo certi di avere la soluzione. Stiamo diventando, sempre di più, un popolo di tifosi. Tifosi non di calcio o altri sport, ma di una parte contro l’altra. Senza avere – o cercare – gli strumenti per capire ci schieriamo già a favore di una soluzione, spesso quella che più colpisce la nostra emotività più che il nostro cervello.
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di
Annachiara Valle